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16 OTTOBRE 1943. UN GIORNO CHE CAMBIÒ ROMA E CHE FECE VERGOGNARE L’ITALIA

Redazione di Redazione
16 Ottobre 2018
in Attualità, Cultura e Spettacolo, Le Storie, Politica
Tempo di lettura: 2min lettura
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16 OTTOBRE 1943. UN GIORNO CHE CAMBIÒ ROMA E CHE FECE VERGOGNARE L’ITALIA
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di Americo Tangredi

AVEZZANO – Era l’alba di un sabato d’autunno qualunque quello che Roma si apprestava a vivere quel lontano 16 ottobre di 75 anni fa. Da poco più di un mese le truppe del terzo Reich occupavano la città eterna e con i passi pesanti dei suoi soldati controllavano ogni cosa. Roma non poteva sapere che da li a poco sarebbe stata privata dei suoi figli più grandi.

Alle ore 5.30 trecentosessantacinque uomini della polizia tedesca, approfittando dello Shabbat effettuarono il triste rastrellamento degli ebrei romani del ghetto e delle altre zone della città. Le forze del Reich sono state favorite da un censimento degli ebrei fatto dal governo Mussolini qualche anno prima. Con violenza vennero portati in strada gli anziani, i malati, gli uomini e le donne e si udivano urla di madri e bambini terrorizzati. Roma non aveva mai sentito tutta quella tristezza. Nonostante quella infame brutalità, non venne sparato neanche un colpo dalle armi dei nazisti.

Nelle pagine del libro Roma città aperta. Settembre 1943-Giugno 1944 di Robert Katz possiamo leggere le lamentele del tenente colonnello delle SS Herbert Kapler comandante della Gestapo di Roma sul comportamento degli italiani: “l’atteggiamento della popolazione italiana è stato inequivocabilmente di resistenza passiva. Mentre la polizia tedesca irrompeva in alcune case, tentativi di nascondere gli ebrei in appartamenti vicini sono stati osservati per tutto il tempo e in molti casi si crede con successo”. Fu anche per questo motivo che Kapler non utilizzò le forze di polizia italiana nella retata.

In quel rastrellamento vennero fatte prigioniere 1259 persone, molti di loro erano con gli abiti della notte e dopo esser stati caricati su camion coperti vennero portati nel Collegio Militari di Palazzo Salviati in via della Lungara. Rimasero lì fino a lunedì 18 ottobre, in condizioni molto disagiate e separati per genere, finché alle 14 di quel lunedì partirono alla volta del campo di concentramento di Auschwitz.

Tra i deportati c’era anche una donna romana di religione cattolica che si dichiarò ebrea per non abbandonare un giovane orfano malato che gli era stato affidato. Entrambi morirono nelle camere a gas di Auschwitz.

Quando finì la guerra a Roma tornarono dai campi di concentramento 15 uomini ed una sola donna e gli altri ebrei che vennero salvati da gente semplice, da sacerdoti coraggiosi e nascosti persino dentro le chiese, nei monasteri, negli ospedali ed anche dentro Cinecittà.

“Ah! Come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo! È divenuta come una vedova, la grande fra le nazioni; un tempo signora tra le province è sottoposta a tributo. Essa piange amaramente nella notte, le sue lacrime scendono sulle guance; nessuno le reca conforto, fra tutti i suoi amanti; tutti i suoi amici l’hanno tradita, le sono divenuti nemici”. (Dal Libro delle Lamentazioni).

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