È innegabile il successo turistico che la cittadina marsicana sta ottenendo con le sue case colorate, è innegabile lo sforzo del Sindaco Enzo Di Natale nel dare una svolta turistica alla sua città che amministra con tanta passione. Un’idea smart che è stata premiata sicuramente a livello nazionale ed europeo, vista la mole turistica di questi mesi. Ma una voce fuori dal coro c’è, ed è quella di Pietro Maccallini, aiellese, che ci ha inoltrato una nota che noi pubblichiamo integralmente:
“Allorché sempre più murales vengono dipinti, con colori in genere vivaci, sulle pareti esterne delle case, anche nella zona centrale e persino in quella per così dire sacra, e quindi di per sé intoccabile, dell’acropoli medievale di un piccolo borgo montano, non si può evitare l’effetto “arlecchino” (che travalica l’eventuale valore intrinseco di ciascun murale), nel senso che quelle pareti finiscono con l‘alludere alle losanghe multicolori del vestito di Arlecchino: si verificherà insomma che il paese tutto, agli occhi di chi lo guarda, indossi in permanenza l’abito della nota maschera bergamasca, il quale però va a sovrapporsi, guastandola e svalutandola, alla precedente sua veste, intessutasi lentamente attraverso lo scorrere dei secoli. Una veste certamente modesta, logora, rude, né sgargiante né chiassosa, ma più o meno antica, e con la caratteristica impagabile di essere propria del paese, né artefatta né d’accatto.
Ora, a mio modesto avviso, l’arlecchinata andrebbe non bene, ma benissimo, per il periodo di Carnevale, ma, se è destinata a rimanere fissa per gli anni a venire, provoca irrimediabilmente un forte squilibrio cromatico e uno sfibrarsi del compatto tessuto di base del piccolo centro montano, con la sua storia fatta di sudore, rinunce e povertà dei mezzi espressivi e costruttivi, centro che ora è costretto a sdilinquirsi, spappolarsi e sciogliersi in macchie moderne di colori squillanti, simili a smancerie civettuole che non avrebbe mai pensato di dover sopportare nella sua austera e parca esistenza.
Termino col seguente paragone: è come se, insomma, una persona che si sente intimamente maschio, ed ha il comportamento di un maschio, fosse costretta a sentirsi un transgender, il quale prova a sua volta giustamente disagio a sentirsi trattare come maschio quando non si sente tale.
Un paese è quello che è, bello o brutto che sia; può sì ricevere una cosmesi delicata e congruente alla sua faccia, ma non può venire costretto, mai e poi mai, ad assumere un aspetto che non gli appartiene, pena la perdita appunto della sua identità più profonda e della sua tranquillità psichica. Almeno gli edifici medievali e quelli risalenti al periodo del Fascismo, quasi tutti entro lo spazio delimitato dai resti di quella che fu la Cinta muraria del paese (talora anche fuori di essa), dovevano rimanere a mio avviso lontani dai pennelli degli invadenti artisti di strada, che ne cancellano o vilipendono la Storia a cuor leggero in favore di una modernità livellatrice, chiassosa e confusionaria.
Spero con tutto il cuore, per l’amore che porto al mio paese, che la mia breve analisi estetico-storica sia errata.”