In una nota stampa, la Cgil Abruzzo pone attenzione sul tema della “Disciplina in materia funeraria e di polizia mortuaria”
La scorsa estate, nel pieno di una emergenza pandemica trasformatasi per tante e tanti in emergenza di carattere sociale, tra le cose assolutamente fondamentali da portare a compimento in seno al Consiglio Regionale, il Gruppo Consiliare di Fratelli d’Italia ha pensato bene di inserire la Proposta di Legge inerente la “Disciplina in materia funeraria e di polizia mortuaria”. Le prime battute della relazione illustrativa parlano del ‘riconoscimento del diritto alla sepoltura dei bambini mai nati di età gestionale inferiore alle ventotto settimane’ : una falsità, fake news come si direbbe di questi tempi. Il diritto a richiedere la sepoltura dei ‘prodotti abortivi’ infatti esiste già ed è esercitabile dai genitori. In altri termini, su richiesta di questi ultimi e, quindi, giustamente, solo ed esclusivamente con il loro consenso espresso ed in presenza di certificato medico che riporti tutte le indicazioni del caso, è possibile procedere con l’eventuale seppellimento del prodotto abortivo. In pratica, i genitori, secondo la disciplina dello Stato, sono gli unici soggetti abilitati a chiedere la sepoltura del feto. La normativa vigente rende sempre possibile, quindi, la sepoltura, garantendo alle famiglie una libertà di scelta. E allora quale novità vuole introdurre questa ‘straordinaria’ Proposta di Legge? La risposta è terribile e risiede nel voler introdurre l’obbligo, una volta captata la notizia di un aborto – ‘ad ogni aborto’ recita la macabra proposta – di disporre da parte della ASL la sepoltura, dei prodotti del concepimento, anche in assenza di una richiesta da parte della madre ed in generale dei genitori, e quindi all’insaputa della donna. Terribile se si pensa che possano essere arbitrariamente fornite a soggetti terzi notizie sull’intervenuta interruzione di gravidanza, in evidente contrapposizione con qualsivoglia principio di tutela.
Ma come si può pensare ad una tale inciviltà? La circostanza, infatti, che al fuori dalle procedure previste dalla legge vigente, soggetti terzi estranei ai fatti, vengano a conoscenza dell’interruzione di una gravidanza, al fine di predisporre gli atti amministrativi aventi ad oggetto l’inumazione del feto in una area indicata quale ‘campo di sepoltura dei bambini del territorio comunale’ è lesiva della privacy espressamente tutelata dalla Legge 22 maggio 1978 n. 194 – Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. Più precisamente l’art. 5 comma 2 della L.194/1978 recita “Quando la donna si rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli accertamenti sanitari necessari, nel rispetto della dignità e della libertà della donna; valuta con la donna stessa e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, anche sulla base dell’esito degli accertamenti di cui sopra, le circostanze che la determinano a chiedere l’interruzione della gravidanza; la informa sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie.” La proposta di Legge contrasta, quindi palesemente, con i principi ispiratori della Legge 194/1978 quali la tutela, la dignità, la libertà di scelta e la privacy della donna e del padre, principi secondo cui l’interruzione volontaria della gravidanza, rappresenta appunto una libera scelta della donna, spesso sofferta e necessaria.
Al di fuori dai casi previsti dalla L. 194/1978 dalla normativa nazionale in nessun modo possono essere acquisite informazioni relative all’interruzione di gravidanza e per questi profili tale proposta appare lesiva di diritti fondamentali anche di rilevanza costituzionale quali la riservatezza,
Va inoltre sottolineato come la scelta, libera e consapevole, non può essere additata dalla società come una colpa di cui vergognarsi.
La finalità della Legge 194/1978 è stata allora ed è oggi quella di garantire e legittimare l’atto interruttivo della gravidanza senza che questo sia connotato in modo negativo sotto il profilo etico, tutelando ed affermando il principio di autodeterminazione delle donne. La proposta di legge si pone quindi in contrasto, contrariamente a quanto si tenta di sostenere nella relazione illustrativa, con il principio di solidarietà sociale. Infine, emblematico è che proprio in queste settimane, anziché rinnovare la promozione di azioni volte al contrasto di ogni forma di violenza contro le donne, si avvii una discussione su un Progetto di Legge che nulla ha a che fare con quanto nella Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne adottata dalle Nazioni Unite nel 1993 che definisce la violenza contro le donne come “qualsiasi atto di violenza di genere che provoca o possa provocare danni fisici, sessuali o psicologici o la sofferenza delle donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia che si verifichino nella vita pubblica sia nella vita privata”
Imporre la sepoltura del feto, senza la richiesta e il consenso della madre, oltre a rappresentare una palese violazione della sua libertà personale, contrasta con i diritti riconosciuti dall’ordinamento giuridico italiano nonché dal diritto comunitario e internazionale.
Seppellire il feto senza aver acquisito alcun consenso vuol dire violare la volontà della donna, rappresenta una grave forma di violenza idonea a determinare una sofferenza.
Ogni donna, a prescindere dalle appartenenze politiche, in caso di una sua interruzione di gravidanza non sarebbe affatto contenta di sapere di una ingerenza esterna di chi indaga e dispone di suoi diritti che sono esclusivi e assolutamente personali.
La politica che non si preoccupa del pensiero delle Donne fa male i conti: su queste materie delicatissime andrà a sbattere.
La Proposta di Legge è approdata nella V Commissione Consiliare del Consiglio Regionale che si riunirà già a partire da domani. La CGIL Regionale con il Coordinamento Donne SPI, accanto alle Associazioni delle Donne presenti nel territorio abruzzese, ha avanzato richiesta di audizione ed anticipa che porra in essere ogni azione di contrasto riservandosi di agire anche legalmente a tutela dei diritti delle Donne abruzzesi alle quali va detta la verità.