di Leonardo Alfatti Appetiti
Sono precari e sottoretribuiti, gli operatori della cultura. Quei pochi che almeno un lavoro ce l’hanno. Che la cultura “non paghi” è una delle affermazioni più dibattute di sempre. Di solito quando qualcuno timidamente dice che “fa cultura” o si “occupa” di cultura, gli viene chiesto: “sì, ma che lavoro vero fai per vivere?”. A monte, infatti, manca proprio un riconoscimento ufficiale a chi è riuscito, per talento, determinazione o fortuna, a esercitare una professione culturale, liquidata dai più come passione, passatempo, intrattenimento.
È vero che il Ministero della Cultura, negli ultimi mesi, ha provveduto a fare nuove assunzioni di funzionari, ma il settore della cultura, a maggior ragione dopo la pandemia, rimane uno dei comparti in maggiore sofferenza.
Recentemente l’associazione “Mi Riconosci” ha condotto un’indagine di comparto, intervistando un campione di 2526 persone. Il dato emerso è agghiacciante. Le paghe nel settore sono ben al di sotto di quello che potrebbe/dovrebbe essere il salario minimo: la gran parte degli addetti nel settore della cultura, che siano lavoratori dipendenti o autonomi, guadagna meno di 8 euro l’ora. Intendiamoci, c’è anche chi guadagna meno di 4 euro l’ora (il 5,7% del campione) e chi (il 13,7%) si vede riconosciuta una paga oraria netta tra il 4 e i 6 euro.
Oltre alla ridotta paga oraria netta, è molto basso anche il reddito annuale: il 50,37% guadagna meno di 10.000 euro all’anno (55,88% tra gli autonomi) e il 72,28% guadagna meno di 15.000 euro all’anno. Di tutto il campione solo il 13,10% ritiene che la sua retribuzione gli sia sufficiente “per vivere autonomamente”. Dignitosamente, aggiungiamo noi.