di Leonardo Alfatti Appetiti
Matteo Renzi e Marco Travaglio non si pigliano, ma non è questa la notizia. A offrirci uno spunto di riflessione è la recente sentenza del tribunale di Firenze con cui il leader di Italia Viva ha perso la causa intentata contro il direttore del Fatto Quotidiano.
L’antefatto: l’ex premier aveva chiesto una somma da capogiro – mezzo milione di euro – per presunti danni “morali, esistenziali, patrimoniali e non patrimoniali” che il giornalista gli avrebbe provocato esponendo tra i gadget presenti sugli scaffali della sua libreria – ripresa durante un collegamento casalingo con Tagadà su La 7– un rotolo di carta igienica ritraente la faccia di Renzi, delle feci e un segnale di pericolo. “Feci umane fumanti”, avevano spiegato gli avvocati di Renzi.
A pagare, tuttavia, sarà proprio il parlamentare: dovrà risarcire Travaglio di 42mila euro. Il conto complessivo è ancora più salato: comprese spese processuali e varie, l’esborso dovuto arriva a ben 72mila euro. Non solo, la giudice Susanna Zanda lo ha condannato per abuso del processo, quello che accade quando “le facoltà lecite consentite dall’ordinamento vengono utilizzate per scopi ingiusti”.
Travaglio, peraltro, durante il collegamento non aveva detto nulla di diffamatorio, né era accusabile di aver posizionato quegli oggetti dietro di sé per realizzare “una tecnica comunicativa ad hoc, finalizzata ad inviare messaggi mediatici particolari”, come avevano argomentato i legali di Renzi.
Quel che emerge dalla sentenza, concetto ribadito più volte anche dalla Corte di giustizia europea, è che “la satira è espressione di libertà democratica e un uomo politico deve sempre tollerarla indipendentemente dal contesto di critica politica, mettendo in conto di essere sottoposto a caricature, accostamenti ridicolizzanti anche privi di significati politici ben precisi. La satira ai politici è l’anima della democrazia perché solo nei regimi totalitari la satira è vietata e gli uomini politici non possono essere rappresentati in forma satirica caricaturale e ridicolizzante”.
Quella scritta dal tribunale di Firenze è una boccata d’ossigeno per i tanti giornalisti costretti a esercitare la professione sotto la costante minaccia di querele “temerarie”.