di Leonardo Alfatti Appetiti
Giovane, con le carte in regola, dal carattere un po’ spigoloso forse. Michele Ciampaglia, classe 1997, in arte Emsiie, è figlio di quella Avezzano provinciale e, per certi versi, soffocante per un ragazzo ambizioso che non vuole rinunciare a credere nel proprio talento. Non ha un piano B.
“Una vita per il rap è una vita spesa bene” spiega l’autore di “Muoio e risorgo” e “Come il vetro”.
Partiamo dalla tua ultima canzone, “In gabbia”. Nella copertina, disegnata da Federico di Biase, ci sei tu dietro le sbarre; da cosa vuoi evadere?
La gabbia è quella dell’anonimato e della mediocrità. La chiave per tirarsene fuori è quella del successo, che apre tutte le porte. Il mezzo (il braccio) per agguantarla è la musica, la mia musica. Allo stesso modo, la città in cui vivo è una gabbia, dove non c’è niente da fare come nelle vere prigioni. Il sogno è che, una volta “evaso”, possa portare in giro per le città la mia musica e le persone che mi supportano ogni giorno da anni.
Hai esordito nel panorama musicale 4 anni fa con il mixtape “Fumo negli occhi”. A riascoltarlo oggi, come lo giudichi?
Fumo negli occhi è orribile (ride). Ero agli albori del mio percorso, stavo ancora sperimentando e inoltre avevo pochi strumenti. Solamente adesso so bene come voglio fare la mia musica, a partire dalle tematiche diverse fino alle nuove sonorità. Penso di aver fatto un “level up”, un bel passo in avanti.
Cosa è cambiato in questi anni?
Ho messo da parte ogni singolo centesimo che mi sono sudato, e sono riuscito a permettermi uno studio di registrazione in casa. Ora posso lavorare in continuazione, con una qualità tecnica incredibile e, cosa più importante, sono affiancato da Gloomy, il mio produttore, che è talentuoso e mi aiuta in tutte le varie fasi. A livello di tematiche invece, il nuovo Emsiie è più maturo, meno frustrato ma sempre senza peli sulla lingua. Non posso perdere la mia attitudine urban, mi piace vedermi adesso come un “pezzente con la giacca”.
A proposito di sacrifici, hai lasciato la scuola per lavorare e fare musica; ai tempi avevi un po’ di paura nell’intraprendere questa strada?
No, assolutamente no. Emsiie viene da lontano, già all’epoca ero sicuro che avrei voluto fare questo per tutta la vita. Una vita spesa per il rap è una vita spesa bene. Non ho un piano B e non voglio averlo. Continuerò ad ardere e a scrivere pezzi giorno dopo giorno finché avrò le forze per farlo.
Nella tua musica ci sono spesso riferimenti ad Avezzano, è un rapporto di odio-amore?
Esattamente. Sono legato soprattutto al mio quartiere, La Pulcina, fin da piccolo ho sempre girato in zona, tra le piazze e i parchetti di solo cemento. Per quanto possa essere problematico e desertico questo posto, qui ho mosso i miei primi passi e sono molto affezionato ai luoghi e alle persone della mia adolescenza. Penso che un giorno mi tatuerò una foto del quartiere da qualche parte, forse sul polpaccio. È una questione di identità.
Quali sono i tuoi punti di riferimento nella vita?
Mio nonno è il riferimento più importante. Lui è un “self-made man”, un uomo che si è fatto da solo senza mai chiedere aiuto a nessuno. La sua figura è fondamentale per me, come quella di ogni membro della mia famiglia. Con la musica spero di dimostrare a tutti loro che, anche partendo da una condizione umile, si può emergere e brillare.
Musicalmente, invece?
I grandi del rap italiano, quelli che più di 10 anni fa mi hanno fatto innamorare di questo genere e che ancora oggi sono al top. Penso in particolare ad Emis Killa, Fabri Fibra e Gemitaiz. Solitamente non sono un esterofilo, ma devo confessare che guardo con interesse anche la scena musicale francese.
“In gabbia” è disponibile da oggi su tutte le piattaforme musicali di streaming nella speranza, per tutti, che si possa volare fuori da essa e diventare come l’oiseau rebelle (l’uccello ribelle) di Georges Bizet; l’indomabile che sfugge alla cattura.