L’AQUILA – La Corte Costituzionale si è pronunciata ieri sull’inammissibilità del referendum sulla cannabis, a seguito della precedente pronuncia circa l’inammissibilità del quesito referendario per la legalizzazione dell’eutanasia. «Siamo in attesa delle motivazioni per cui i referendum sono stati dichiarati inammissibili» spiega Riccardo Varveri, segretario di Radicali Abruzzo, coordinatore per la regione Abruzzo della campagna referendaria “Eutanasia Legale”. «La conferenza stampa del presidente Amato lascia tutti con l’amaro in bocca, non tanto perché i quesiti sulla legalizzazione della cannabis e dell’eutanasia siano stati dichiarati inammissibili, quanto per i metodi adottati: ha accusato il comitato promotore del referendum sulla cannabis di aver sbagliato il comma da considerare per legalizzare la cannabis stessa, rimproverando anche il comitato promotore del referendum eutanasia per aver preso in giro i firmatari chiamando il referendum “Eutanasia Legale”, affermando che la materia trattata era ‘omicidio del consenziente’. È qualcosa di gravissimo. Ci tengo a fare chiarezza per questo».
Il quesito referendario sull’eutanasia, trascritto per legge sui fogli che i cittadini sono andati a firmare, era il seguente: “Volete voi che sia abrogato l’art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente) approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, comma 1 limitatamente alle seguenti parole “la reclusione da sei a quindici anni.”; comma 2 integralmente; comma 3 limitatamente alle seguenti parole “Si applicano”?”. «Nessuna volontà da parte del comitato di prendere in giro gli italiani, quanto la volontà di esplicitare la materia che di fatto si voleva depenalizzare: non esiste, infatti, nell’ordinamento italiano una legge che regolamenti l’eutanasia attiva e l’unica parte in cui intervenire con metodo referendario (che ricordo, può essere soltanto abrogativo) sarebbe stata l’art. 579, quello che punisce l’omicidio del consenziente. Il presidente Amato, inoltre, dovrebbe discutere della materia giurisprudenziale, dell’ammissibilità o meno del quesito e non della forma della campagna referendaria, non della costituzionalità o meno della norma uscente». La norma risultante dall’abrogazione, può essere modificata in base alla legge 352/1970 che proroga l’effettività della legge stessa per sessanta giorni, in modo da permettere al Parlamento di legiferare circa il vuoto legislativo che un referendum abrogativo giustamente genera. A ciò si aggiunge anche una sentenza della Corte, la 32/1993, che invita le Camere a integrare, modificare o correggere la norma risultante.
In conferenza stampa, senza lasciare ancora motivazione scritte, è stato riportato un esempio sulla depenalizzazione dell’omicidio del consenziente: il quesito, ha affermato il presidente della Corte Costituzionale, avrebbe aperto a casi come quello ipotetico di due ragazzi ubriachi in cui l’uno, se decidesse di farla finita perché psichicamente alterato da alcolici e lo comunicasse all’altro, solleverebbe l’altro dal reato di omicidio. «Questo è falso: l’articolo 579, infatti, avrebbe continuato a contemplare le punizioni in 3 casi: 1) se la morte fosse cagionata contro una persona minore degli anni diciotto; 2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; 3) contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno. L’esempio del giudice Amato è, dunque, fattualmente invalido», spiega Varveri.
Il quesito sulla cannabis è al centro di grandi polemiche. L’accusa del presidente Amato ai danni del comitato promotore è di non aver letto bene la legge e di non aver formulato correttamente il quesito. Il quesito recita: “Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, avente ad oggetto “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza“, limitatamente alle seguenti parti: Articolo 73, comma 1, limitatamente all’inciso “coltiva”; Articolo 73, comma 4, limitatamente alle parole “la reclusione da due a 6 anni e”; Articolo 75, limitatamente alle parole “a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;”?”
Il presidente della Corte Giuliano Amato si riferisce, quando parla di errore nel quesito, al comma 1 dell’art. 73 dove, afferma, “le tabelle I e III sulle sostanze stupefacenti non riportano neanche la parola cannabis, ma si riferiscono alle droghe pesanti”.
«Sembra surreale l’affermazione del presidente della Corte. Non si può considerare il comma 4, quello che cita le tabelle II e IV sulle sostanze stupefacenti e dunque la cannabis, in maniera distaccata dal comma 1. Il comma 4 dell’art. 73 del Testo Unico sulle sostanze stupefacenti recita “Se taluno dei fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 riguarda sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall’articolo 14, si applicano la reclusione da due a sei anni e la multa da lire dieci milioni a lire centocinquanta milioni.”. Il comma 4 riprende formalmente l’1 nella sua formulazione iniziale: “Se taluno dei fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 riguarda sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall’articolo 14”. Per abolire il reato, dunque, si dovrebbe intervenire sul comma 1, perché è lì che si trova la parola ‘coltiva’», afferma il segretario di Radicali Abruzzo, «Non va dimenticato inoltre che l’abrogazione dell’art. 73 comma 1 consta soltanto della parola ‘coltiva’: le cosiddette droghe pesanti, dunque, non sarebbero in ogni caso depenalizzate perché rimangono tutte le successive diciture, ossia la parte limitata alle parole ‘produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo’».
L’Associazione Luca Coscioni, riunita oggi in conferenza stampa, ha dichiarato di voler intraprendere tutte le strade possibili affinché i due temi, nella loro formulazione referendaria firmati da quasi due milioni di cittadini in tre mesi, possano diventare realtà, portando un avanzamento in termini di diritti civili che l’Italia aspetta da anni. Intanto, oggi, alla Camera arriva il testo sul suicidio assistito, un testo che, spiega Riccardo Varveri, «fa compiere passi indietro enormi, restringendo la platea degli aventi diritto ad accedere al suicidio assistito, già legale in Italia a seguito della sentenza Cappato-Antoniani proprio della Corte Costituzionale».