CANDIOLO (TO) – La scelta della terapia
giusta, per il paziente giusto, al momento giusto: un obiettivo che
sembra più vicino per il tumore del colon-retto metastatico, grazie alla
biopsia liquida che consente di analizzare il DNA tumorale circolante
attraverso un prelievo di sangue e così di selezionare i pazienti in base
alle caratteristiche molecolari del tumore in quel momento, a
prescindere dalle precedenti terapie e dall’intervallo di sospensione. Lo
rivela lo studio clinico interventistico Chronos, coordinato dall’ IRCCS
Candiolo di Torino e dall’Ospedale Niguarda di Milano, con la
collaborazione dell’Università degli Studi di Torino e dell’Università
degli Studi di Milano e la partecipazione clinica dell’Istituto Nazionale
dei Tumori di Milano, l’Istituto Oncologico Veneto di Padova e l’IRCCS
Candiolo. Lo studio, appena pubblicato su Nature Medicine, è stato
possibile grazie al finanziamento di Fondazione Piemontese per
l’Oncologia IRCCS Candiolo nel contesto di un finanziamento di ricerca
AIRC 5×1000.
“Nei pazienti con tumore al colon-retto metastatico, molte terapie a
bersaglio molecolare si basano su anticorpi monoclonali contro i recettori di
crescita EGFR, che possono essere utilizzati solo in caso di pazienti senza
mutazioni in RAS/BRAF” spiega il professor Alberto Bardelli, co-autore
dello studio dell’IRCCS di Candiolo Dipartimento di Oncologia e
professore all’Università di Torino – Sebbene la terapia risulti efficace, la
maggior parte dei pazienti sottoposti a questo trattamento, può sviluppare nel
tempo resistenza al farmaco e la malattia progredisce. A questi pazienti –
aggiunge Bardelli – è possibile somministrare una secondo ciclo di terapia,
cosiddetta “rechallenge”, che consiste nel riprendere le terapie anti-EGFR
dopo un periodo di sospensione, una volta che i geni mutati siano scomparsi
e la malattia sia tornata sensibile al trattamento. La difficoltà, tuttavia, sta nel
capire quando avviare un rechallenge.”
Fino ad oggi non era possibile stabilirlo se non in modo empirico, in
base a un intervallo di tempo statistico intercorso dalla precedente terapia. In
questo contesto si inserisce lo studio Chronos che, per la prima volta, sfrutta
le potenzialità della biopsia liquida per monitorare in tempo reale l’andamento
del tumore e guidare la terapia, consentendo di escluderla nei pazienti con
geni mutati nei quali il trattamento non avrebbe funzionato.
LO STUDIO CHRONOS
“L’approccio dello studio Chronos si basa sulla biopsia liquida che,
attraverso l’analisi di un semplice campione di sangue del paziente, consente
di trarre informazioni preziose sul tumore e sul suo sviluppo, andando a
“caccia” delle tracce molecolari rilasciate dalle cellule tumorali circolanti nel
flusso sanguigno o del DNA – sottolinea Bardelli – L’analisi di laboratorio di
queste tracce può far rilevare, ad esempio, la presenza di specifiche
alterazioni del DNA del tumore che possono influire sulla sensibilità o
piuttosto la resistenza del tumore ai diversi trattamenti terapeutici”.
Grazie alla biopsia liquida tra i pazienti senza mutazioni, arruolati nello
studio, il 30% ha mostrato una risposta obiettiva, un valore superiore rispetto
a quello osservato con la selezione dei pazienti secondo criteri solo clinici.
“Con Chronos la biopsia liquida è direttamente integrata nel processo di
decisione della terapia per i pazienti con tumore metastatico del colon-retto”,
commenta Bardelli. “Proprio come nel paradigma darwiniano, abbiamo
applicato – continua – il concetto di evoluzione tumorale della resistenza
farmacologica alla selezione diretta della terapia, analizzando in tempo reale
il DNA tumorale circolante alla ricerca di mutazioni di resistenza. Nel tumore
del colon, la resistenza ai farmaci anti-EGFR, che sono utilizzati come
standard di terapia nella malattia avanzata, si associa all’insorgenza di
specifiche mutazioni che conferiscono al tumore un vantaggio selettivo di
resistenza farmacologica”.
Lo studio clinico Chronos si è svolto nell’Oncologia dell’Ospedale
Niguarda di Milano sotto la direzione del professor Salvatore Siena,
dell’Università degli Sudi di Milano e direttore del Niguarda Cancer Center
che ha coordinato gli altri centri clinici partecipanti. Nei pazienti per i quali era
giudicata adatta una terapia di rechallenge con anti-EGFR è stata effettuata
una biopsia liquida e il DNA tumorale circolante è stato analizzato presso
l’Istituto di Candiolo. In caso di assenza di mutazioni di resistenza è stata
avviata la terapia con panitumumab, il farmaco utilizzato per il rechallenge.
“Abbiamo osservato che frequentemente erano presenti plurime alterazioni
geniche di resistenza, probabilmente insorte dopo la prima esposizione ai
farmaci anti-EGFR e ancora in circolo”, spiega il professor Andrea Sartore
Bianchi dell’Università degli Studi di Milano, autore principale dello
studio Chronos e oncologo a Niguarda Cancer Center. “Applicando un
concetto di ‘tolleranza molecolare zero’, abbiamo somministrato la terapia
solo ai pazienti che presentavano una clearance completa di queste
mutazioni e così facendo abbiamo ottenuto un tasso di risposte obiettive
tumorali del 30% e un controllo di malattia oncologica del 63%. Questi dati –
continua – rappresentano un passo avanti in situazioni cliniche dove le
alternative terapeutiche sono spesso assenti, e questa strategia mirata
migliora l’indice terapeutico di questo trattamento chemio-free; per il
carcinoma del colon-retto”. La terapia con l’anticorpo monoclonale
panitumumab è stata infatti ben tollerata e le risposte tumorali si sono
realizzate indipendentemente dalla linea di trattamento e dal tipo di terapia
ricevute precedentemente al rechallenge. Inoltre, lo studio longitudinale del
DNA circolante sotto trattamento ha messo in luce che altre mutazioni
genetiche insorgono nuovamente alla progressione a questa terapia.
“Nel complesso – dice Bardelli – questo trial clinico rappresenta la
prima integrazione della biopsia liquida all’iter di terapia in un tumore big killer
come il carcinoma del colon-retto. Da una goccia di sangue è possibile
decifrare la vulnerabilità a una terapia a bersaglio molecolare, e lo studio
Chronos apre la strada a studi che raccolgano questa sfida emergente
nell’ambito della medicina personalizzata. La cosa più importante che
Chronos ha dimostrato è proprio l’impatto positivo della medicina di
precisione sulla qualità della vita dei singoli individui. Nei malati con tumori
molto avanzati preservare la qualità della vita è altrettanto fondamentale che
identificare un trattamento che ‘cronicizzi’ il tumore. Avere uno strumento
diagnostico che escluda trattamenti sicuramente inefficaci risparmia inutili
tossicità e sofferenze” conclude Bardelli.